Martedì, 21 settembre 2010
Conversazione in treno, ovvero: io amo le donne
Da una domenica mattina in regionale (seconda classe) due domande. Perché gli uomini non parlano così? E che cosa fa il Paese per ringraziare queste ragazze?
Io amo le donne. Le amo proprio fisicamente. Quasi mi dispiace essere eterosessuale, quando mi succede, come oggi, di ascoltarne i discorsi su un treno regionale di seconda classe popolato solo da donne (chissà perché: dove sono tutti gli uomini a quest’ora di domenica mattina?).
Nei posti a sinistra del mio, oltre il corridoio, quattro ragazze tra i venti e i quarant’anni parlano di tutto. Non riesco a capire che legame ci sia tra di loro. Colleghe? Insegnanti? Amiche che vanno a fare un giro? È uno di quei treni su cui si possono caricare le bici, può darsi. Oppure si sono appena incontrate? Chiacchierano con un ritmo costante, allegro… che bella conversazione fanno. Non è che origlio, ma sui treni si sente tutto. E loro hanno un bel tono di voce squillante. Spaziano dal Festival di Internazionale di Ferrara dove programmano di andare il primo fine settimana di ottobre («È sempre così interessante, ed è gratis. Io dormo da un’amica di mia zia») a un libro che era nella cinquina dello Strega («Volevo comprarlo ma 20 euro, cavolo, vatti a far benedire: coi miei 1.100 al mese…»), all’Iran («Quando in un Paese ti fanno sentire in colpa per i tuoi desideri, non c’è democrazia»: frase da scrivere sulle magliette buttata lì dalla bruna con gli occhiali), al bambino che ha iniziato la terza e sembra nervoso («È dislessico. Ma la maestra è brava, ha tre figli anche lei. Mi sa che lo iscrivo a judo invece che a nuoto, quest’anno»), all’intelligenza linguistica («La badante russa di mia madre parla già italiano meglio di mia suocera»: risate di tutte le altre).
Io amo le donne. Quale gruppo di uomini, esclusi i presenti (voi, carissimi lettori maschi di questa rubrica, non fate testo), farebbe questi discorsi, su un treno, al mattino presto? Al massimo, parlerebbero di politica, o di sport. Starebbero zitti, o dormirebbero, o parlerebbero al telefonino, spippolerebbero sui tasti. Bene che vada, leggerebbero un quotidiano (non ho scritto leggerebbero la Gazzetta, anche se l’ho pensato, vedi come sono buona). Invece queste donne in maglietta del mercato, scarpe da tennis sfigate, una carina, l’altra meno, una pallidissima, una con l’accento veneto molto marcato, continuano per un’ora a parlare di tutto. Ma soprattutto di libri. «Quel romanzo ha un linguaggio perturbante», fa la bruna carina. Perturbante! Se uno di voi ha mai sentito un uomo dire a un amico in treno che un libro è scritto con linguaggio perturbante, mi cerchi sul blog e gli pago la cena. Ma voglio la registrazione.
«Un’Agota Kristof dolce», sta dicendo la pallidissima. «Hai mai letto la Kristof? Ecco, lui è una Kristof meno aspra, più dolce. E poi ha quegli occhi grigi… secondo te è sposato?» (Io, che conosco lo scrittore con gli occhi grigi e so quanto sia misogino, vedi rubrica della scorsa settimana, non vi dirò chi è: non se lo merita).
Adesso ditemi che nessun gruppetto è rappresentativo e che ho paragonato le donne del treno a maschi da barzelletta. Che le donne si amano e si difedono al di là della loro bravura, anche quelle cretine e noiose. Avrete ragione. Ma io non riesco a togliermi dalla testa una cosa: queste donne meravigliose – e anche le altre meno meravigliose – che popolano e salvano e tengono in piedi un Paese che non le capisce, non le protegge, non le valorizza, non bacia i loro piedi calzati di scarpe da tennis sfigate come dovrebbe fare se recuperasse uno straccio di lucidità, queste donne meriterebbero molto di più. Io amo le donne.
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