sabato 15 gennaio 2011

UN NUMERO PRIMO E I MILLE VOLTI DELLA SOLITUDINE

Troppo simili, troppo vicini eppure così diversi e separati da non potersi con-fondere mai. Questi sono i numeri primi e la loro eterna solitudine. Chissà se Paolo Giordano lo ha mai incontrato il suo di numero, prima di scrivere di altri; chissà se il suo libro parlava di una mera utopia o di semplice realtà non razionalizzata dai più. 
Ognuno potrebbe avere il proprio numero primo, non tutti lo incontrano o non tutti lo recepiscono. Più che una visione sentimentalista, la mia è una triste consapevolezza che spesso ciò che ci completa non è ciò che abbiamo o che possiamo avere. Non parlo di relazioni amorose o comunque non solo; io parlo di quell’affinità che spesso va al di là dell’amore, della comprensione, della logica umana e dei limiti di una società e una cultura ancora non preparata a questa forma di dualismo.
Che gran prezzo da pagare per due numeri cosi vicini, eppure lontani, l'essere separati sempre e comunque da un numero nel mezzo, come un 11 e un 13. 

Il mio numero primo è stato un’entità talmente affine a me da affascinare ogni mia singola cellula, ma anche io come vuole il copione, da quella stessa vita  che me lo ha dato ne sono stata inesorabilmente separata; ho riposto sogni e speranze precipitate in un vuoto, quello della lontananza, perché il mio 12, quel numero che ci ha sempre diviso, era un vero e proprio separatore di anime affini. Quel 12 sono stata un po’io, in parte il destino, la vita, il mio stesso alter ego; quel 12 è per chiunque l’essenza della solitudine dei numeri primi; li alimenta e li fa vivere, allo stesso tempo li rende malinconici e insoddisfatti, soli e abbandonati. Il mio 12 è stato vita e morte.


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